Oggi 18 maggio è il giorno delle parole「ことばの日」. La celebrazione deriva dalla lettura della data di oggi che, in giapponese, può leggersi come KO こ(5)TO と(10)BA ば(8)che in questa lingua significa appunto “parola”.

La parola è uno strumento potente. Quando un bambino scopre il nome di qualcosa per la prima volta, inizia a possedere quell’oggetto, azione, pensiero… riesce a renderlo un po’ suo. Le parole ci permettono di comunicare, di chiacchierare anche di cose astratte che non possiamo toccare o indicare a gesti.

 

  1. Esprimersi al meglio
  2. Frasi che nascondono qualcosa
  3. La lingua giapponese: Nihongo「日本語」

Esprimersi al meglio

Il giapponese è una lingua antichissima che si è molto evoluta nel corso del tempo. E’ ricca di sinonimi con sfumature di significato diverso, ci sono migliaia di kanji che possono avere più di una pronuncia ed interpretazione. Insomma, anche se i giapponesi non si esprimono molto a voce, la loro lingua gli permette di utilizzare il termine giusto al momento giusto. Chissà, forse è proprio per questo che non hanno bisogno di parlare molto! (。→∀←。)

 

Come si fa ad esprimersi al meglio? Ad ognuno il suo!

I giapponesi parlano a seconda di chi sono e in base a quello che fanno. Di conseguenza, i termini variano da maschio a femmina, ci sono diversi livelli di cortesia e addirittura alcune situazioni possiedono un linguaggio a sè.
E’ il caso del dialetto dei samurai: i numeri si pronunciano in modo diverso; “io” si dice /sessha/; la copula /desu/ (essere) diventa /de gozaru/; la forma negativa, che al momento si crea tramite il suffisso ~nai, è ~nu. Per esempio un samurai non avrebbe detto /ikanai/ (non andare) ma /ikanu/. E come non notare l’estensione dei suffissi onorifici? Un vero samurai non usa ~san, ~chan o ~kun, bensì ~sama e ~dono!

Senza tornare indietro all’epoca Edo, anche nel contemporaneo mondo del Sushi troviamo un linguaggio particolare: il Sushi Yougo. Qui i numeri dall’1 al 10 (normalmente 1 ichi, 2 ni, 3 san, 4 shi, 5 go, 6 roku, 7 shichi, 8 hachi, 9 kyuu, 10 ju) diventano
1 pin (o soku), 2 nonoji, 3 geta, 4 dari, 5 menoji, 6 ronji, 7 seinan, 8 bando, 9 kiwa (o gake), 10 yorozu.
Si tratta di un modo di contare ignorato dalla maggior parte dei giapponesi ed utilizzato esclusivamente in questo ambiente. Altre parole tipiche del Sushi Yougo sono ad esempio /Zuke/ che significa /Maguro/ (tonno), /Gyoku/ che non è altro che il /Tamagoyaki/ (omelette). E ancora /Nami no Hi/ per il sale, al posto di /Shio/. 

Io, il GattoneCiccione, invece parlo il Nyan-go, la lingua dei gatti ლ(●ↀωↀ●)ლ

Infine, pensate ai kaomoji: persino nello scritto ogni faccina hai il suo preciso significato. I nostri smiley si fermano a felice :-) triste :-( arrabbiato >:-( ma i giapponesi ne hanno uno per ogni occasione
(*⌒▽⌒*)θ~♪
(⊙﹏⊙✿)
☆ ̄(>。☆)

 

Onomatopee

Le onomatopee sono un altro modo intrigante d’esprimersi che hanno i giapponesi. Si tratta di quelle parole che esprimono un suono, per esempio Tic-tac, Grrr, Patatrac. In italiano non ne abbiamo molte, invece le  onomatopee giapponesi definiscono veri e propri concetti, arrivando a volte a dare il nome a qualcosa.

L’onomatopea giapponese è il gesticolare degli italiani. Loro esprimono con i suoni ciò che noi disegniamo con le mani.

Ecco qualche esempio:

  • sara-sara: qualcosa di liscio
  • bosa-bosa: capelli scompigliati
  • guru-guru: mischiare, girare
  • pera-pera: parlare a lingua sciolta, conoscere bene una lingua
  • pika-pika: qualcosa che brilla, abbaglia, risplende 
  • mochi-mochi: qualcosa di soffice
  • doki-doki: batticuore
  • paku-paku: ripetere con insistenza, ma anche masticare
  • goro-goro: il dolce far nulla, piacevole e pigra lentezza, le fusa dei gatti
  • pachi-pachi: clap-clap, applaudire
  • soro-soro: qualcosa che si appresta ad accadere, che sia l’inizio o la fine di qualcosa
  • gari: lo zenzero che accompagna il sushi. Si chiama così a causa del suono che fa quando lo mastichi!

 

Frasi che nascondono qualcosa… qualcosa di bello

Le frasi giapponesi celano segreti. Un kanji può avere diversi significati, così una frase a seconda di come è composta può nascondere un tesoro.

Le formule di saluto che in Giappone si spendono doppie

Quando si esce di casa o da un luogo in cui si farà ritorno in un secondo momento, e nell’incontro che scioglie la separazione e riporta chi era lontano al luogo di partenza.

→ いってきます /ittekimasu/ traducibile con «Esco/Vado»

→ いってらっしゃい~ /itterasshai/ quasi un «Buona giornata», ma significa essenzialmente «Che ti vada bene, qualsiasi cosa farai!»

→ ただいま~  /tadaima/ «Eccomi, sono tornato/Ciao, sono a casa»

お帰り~  /okaerinasai/ «Bentornato»

Frasi di rito all’apparenza semplici, in realtà piene di rispetto, trepidante attesa, amore.

 

 Grazie e Scusa, sempre legati

“Grazie” e “Scusa” sono due espressioni che nel Sol Levante si tengono per mano. Donare è rinunciare, farlo bene è non far intuire all’altro l’eventuale privazione. Il compito di chi riceve, invece, è non dare il ricevuto per scontato.

Il kanji di /arigatō/ del resto lo racconta. È「有難う」, in cui c’è 「有る」 /aru/ che è “essere/esistere” e「難い」che è /katai/ ovvero “difficile”. Pertanto si ringrazia considerando la difficoltà del ricevere un favore, un gesto di gentilezza che non deve essere accolto come ovvio.

Essendo questo un concetto così importante, in giapponese non vi è un solo modo per esprimerlo:

  • 「ありがとう」 /arigatō/ il grazie “base”
  • 「どうも」/dōmo/ privato dell’arigatō che spesso segue, informale
  • 「ありがとうございます」/arigatō gozaimasu/ può essere tradotto con “la ringrazio infinitamente”
  • 「感謝しています」/kansha shiteimasu/ le sono riconoscente
  • 「すみません」/sumimasen/ quando si riceve un favore inaspettato, “grazie ma scusi!”
  • 「申し訳ありません」/mōshiwake arimasen/ mi dispiace, la ringrazio. Molto forte e formale
  • 「もったいない」/mottainai/ indica rammarico per uno spreco. Utilizzato per mostrare gratitudine mista a imbarazzo per un dono ritenuto troppo grande
  • 「申し訳ないくらい」 /moushiwakenai kurai/ letteralmente “tanto da dover chiedere scusa”
  • 「もったいない言葉をいただく」 /mottainai kotoba wo itadaku/ ovvero “ricevere parole tanto belle di cui non ci si sente degni”

 

La lingua giapponese: Nihongo「日本語」

Si ritiene che il giapponese moderno sia nato durante il periodo Edo (1603-1868). Fino ad allora il giapponese classico era stato quello del Kansai, specialmente quello di Kyoto, ma quando Edo (e quindi Tokyo) divenne la città più grande, allo stesso modo il suo dialetto divenne quello più importante.

A partire dal 1853 e quindi alla fine dell’isolamento auto-imposto del Giappone, la lingua si arricchì di molti termini di derivazione straniera, prima soprattutto cinese e dal ‘45 per la maggior parte inglesi. Si tratta dei /Gairaigo/「外来語」, parole prese in prestito da altre lingue. Ecco qualche esempio!

  • Cinese: ūron (oolong tea), kimuchi (kimchi, piatto piccante a base di cavolo)
  • Inglese: intānetto (internet), kisu (bacio – la vera parola giapponese, /seppun/ è ormai inutilizzata)
  • Portoghese: arukooru (alcol, da álcool), botan (bottone, da botão)
  • Olandese: garasu (vetro, da glas), gomu (gomma, da gom)
  • Tedesco: arergii (allergia, da Allergie), kapuseru (capsula, da Kapsel)
  • Francese: ankeeto (questionario, da enquete), debyuu (debutto, da debut)

Consonanti e vocali

Il giapponese è sostanzialmente una lingua sillabica. E’ formata da 5 vocali e 26 fonemi consonantici, ma questi ultimi non si presentano mai da soli, anzi hanno bisogno di una vocale alla quale appoggiarsi.
Le vocali giapponesi sono { a, e, i, o, u } con l’unica differenza da quelle italiane che la /u/ quasi non viene pronunciata. Anche altre vocali vengono de-sonorizzate, ma soltanto quando si trovano alla fine della frase o precedute e seguite da consonanti sorde: si tratta di { a, i, o }.

NB: le consonanti sorde sono quelle che nella pronuncia non fanno vibrare le corde vocali, come {k}, {t}, {p}, {g} di “gatto”. Al contrario, sono sonore per esempio {v}, {d} e {g} dolce di “gelato”.

NB2: il dialetto del Kansai invece pronuncia marcatamente, sempre, tutte le vocali!

Esempi:

  • /u/:
    • desu (copula verbo essere) → “des-
    • Sosuke (nome proprio maschile) → “Sos-ke
    • Kuso (dannazione, parolaccia che si sente spesso negli Anime) → “K-so!”
  • /i/:
    • deshita (copula v. essere al passato) → “desh-ta
  • /o/:
    • kokoro (cuore) → “k-koro

Pronomi Personali
Italiano
NeutroInformaleMolto formale e ormai in disuso
Iowatashi
boku (maschile)
ore (maschile, un po' maleducato)
atashi (femminile)
watakushi
Tuanatakimi
omae (un po' rude)
anta
otaku (non c'entra niente con gli Anime, eh! XD )
Luikareaitsu
Leikanojoyatsu
Noiwatashi-tachiboku-ra (maschile)
ore-tachi (maschile)
ware-ware
watakushi-tachi
Voianata-tachiomae-tachi
kimi-tachi
anata-gata
Essikare-ra
Essekanojo-tachi

Verbi

I verbi si coniugano soltanto in base al tempo e modo, ma non in base alla persona. Di certo ci sono meno desinenze da ricordare! XD
Utilizzando /kaku/ scrivere, i suffissi del verbo che indicano tempo e modo sono:

  • ~Ta passato: /kaita/
  • ~Te gerundio o imperativo gentile: /kaite/
  • ~Nai negativo: /kakanai/
  • ~Masu forma gentile: /kakimasu/
  • ~Ba condizionale: /kakeba/
  • ~Reru passivo: /kakareru/
  • ~Ru indica la possibilità di fare qualcosa, come il “can” inglese: /kakeru/
  • ~Seru causativo (faccio scrivere): /kakaseru/

Aggettivi e Avverbi

Gli aggettivi possono essere di due tipi: quelli puri che finiscono in “i” /kawaii/ (carino) oppure quelli impropri che si legano ad un nome tramite “na”, come /kirei na/ (bello).

Gli avverbi nascono invece dagli aggettivi: quelli puri tramutano la “i” in “ku”, e quelli impropri il “na” in “ni”:

  1. Ureshiku = felicemente
  2. Shizuka ni = tranquillamente

Le particelle

Un’altra parte molto importante della frase sono le particelle. Ce ne sono di diverso tipo, io vi elenco soltanto le più importanti:

  • Ga: indica il soggetto /tenki ga yoi/ (il tempo è bello)
  • O: più propriamente “wo” indica il complemento oggetto /Ringo o tabemasu/ (mangio una mela)
  • No: complemento di specificazione, di /Uta no prince-sama/ (i principi della canzone)
  • Ni: a/in, complemento di termine, moto a luogo e stato in luogo /Tanaka-san ni tegami o kakimasu/ (scrivo una lettera al signor Tanaka) – /niwa ni imasu/ (sono in giardino)
  • To: e/con /Inu to neko o mimashita/ (ho visto un cane e un gatto) – /Asuka to asondeimasu/ (gioco con Asuka)
  • Wa: indica il tema della frase, che non è sempre il soggetto /Neko wa niwa ni imasu/ (il gatto è in giardino. Domanda implicita: Dov’è il gatto? Tema → il gatto) – /niwa ni wa neko ga imasu/ (in giardino c’è un gatto. Domanda implicita: cosa c’è in giardino? Tema: giardino. Soggetto: gatto)
  • Mo: anche /Watashi mo ikimasu!/ (Vado anche io)
Particelle finali (usate soprattutto nel linguaggio parlato)

  • Ka: linguaggio formale, indica una domanda /Nan desu ka?/ (Che cos’è?). Nello scritto, trovandosi già questa particella, la frase non ha bisogno del punto interrogativo. Può essere sostituita nel linguaggio informale da /kai/ (se parla un uomo) oppure /no/ (se parla una donna)
  • Ne: indica una richiesta di conferma da parte di chi ascolta /Atsui ne?/ (fa caldo, eh?)
  • Yo: sottolinea che si tratta dell’opinione di chi parla /Oishii yo!/ (per me è delizioso). E’ spesso usato insieme a ne /samui yo ne~/ (secondo me fa freddo… no?)
  • Wa: propria del linguaggio femminile, indica un coinvolgimento da parte di chi parla /Tsukareta wa/ (come sono stanca)

 

I quattro alfabeti

La lingua giapponese si compone di ben 4 alfabeti diversi. Abbiamo i due tipi di scrittura sillabica (katakana ed hiragana), gli ideogrammi (kanji) ed infine i romaji, ossia l’alfabeto latino.

Kanji

Sono di origine cinese (/kanji/ significa “caratteri della dinastia Han”) e se ne contano 50.000, anche se i più usati sono “solo” 2238. Si tratta di ideogrammi, quindi ad ogni segno o unione di segni corrisponde una parola.
Per aiutarsi nella lettura (non pensate, anche i giapponesi hanno difficoltà! (ᗒᗜᗕ) ) bisogna pensare che all’origine di tutto ci sono 214 kanji più semplici, i cosiddetti radicali. Abbellendoli con trattini vari ed unendoli si formano tutti gli altri. E’ quindi molto importante conoscere questi 214 per potersi far strada nella lettura degli altri.

Non è comunque facile: un kanji può avere fino a 3 pronunce diverse ¯\_( ◉ 3 ◉ )_/¯

Qualche esempio di kanji:

KanjiSignificatoKanjiSignificato
personavedere
racchiudereparola
spada, lamamattina
poterevillaggio
terracolore
notteusare
montagnaacqua, gocce
cuore, animasole, giorno
Hiragana

La scrittura sillabica per eccellenza. Serve per scrivere le parti grammaticali della frase e per trascrivere la pronuncia dei kanji (qui non pensate soltanto ai libri per bambini: anche i quotidiani hanno i kanji con sopra l’aiutino in hiragana!). E’ utile anche per scrivere al computer o sul cellulare, poiché ha la funzione del vecchio T9: digitando l’hiragana lo strumento elettronico ci dà come risultato i kanji che hanno la stessa pronuncia.

Katakana

Si usa per trascrivere le parole di derivazione straniera, le onomatopee o per dare maggior enfasi a parole giapponesi all’interno di un testo. Se l’hiragana è il corsivo, allora il katakana è lo stampatello, in quanto formato da tratti molto più semplici e lineari.

  • カタカナ → katakana
  • バ レ ー ボ ー ル → volleyball
  • チ ェ ス → chess → scacchi
  • コンピュータ → computer
  • テレビ → tivì, televisione
  • ウィリアム・シェイクスピア → William Shakespeare
Romaji

Letteralmente “segni di Roma”. Sebbene non faccia parte della tradizione giapponese, viene comunque insegnato nelle scuole un po’ per familiarizzare con le lingue straniere, un po’ perché comodo quando si deve leggere e scrivere su apparecchi elettronici.


Attenzione: non si tratta di modi di scrittura a se stanti, al contrario! Si intersecano tra loro.

I kanji servono per scrivere i nomi propri e le radici dei verbi, aggettivi, nomi; l’hiragana per le desinenze, suffissi, particelle; il katakana per le onomatopee e le parole di derivazione straniera. Quello che se ne sta un po’ fuori è il Romaji, che non appartenendo davvero al giapponese fa più che altro comodo in ambiti commerciali-turistici su cartelloni ed insegne.

Questo è un esempio che viene da Wikipedia, dove si vede molto bene l’alternanza tra alfabeti:

ラドクリフマラソン五輪代表、1メートル出場にも
significa letteralmente “Radcliffe, partecipante alla maratona olimpica, concorrerà anche per i diecimila metri”.
(Kanji, Hiragana, Katakana, Romaji)

 

Curiosità

 I sostantivi non distinguono genere e numero. Quindi la parola /sensei/ significa indistintamente maestro, maestra, maestri e maestre. Di solito a seconda del contesto della frase ci si capisce, ma se è necessario si può usare /otoko no/ (maschile) e /onna no/ (femminile). Quindi /Ko/ (generico per bambino) diviene bambina con /onna no ko/ e bambino maschio con /otoko no ko/.

 In giapponese non esistono gli articoli!

 Il giapponese è una delle poche lingue che si dividono in livelli di cortesia, a seconda dell’interlocutore.

 Il soggetto è quasi sempre sottinteso!

 La scrittura tradizionale dall’alto verso il basso, da destra a sinistra, anche se è d’uso pure quella all’occidentale. La cosa davvero curiosa è che nella scrittura giapponese non esistano gli spazi. Di norma infatti i vari alfabeti si alternano, quindi gli stacchi tra le parole ad un giapponese appaiono ovvi (๑°o°๑)

 

Ho finito! May stardust & Japanese lead you ~ 

Fonti: il sommo Wikipedia e l’irrinunciabile Giappone Mon Amour + Impara il giapponese con Manami + Sakura Magazine